È diventato quasi un mantra la famosa frase di Eschilo “La prima vittima della guerra è la verità”: quasi un truismo valido per tutte le guerre in ogni epoca e luogo, con la differenza che, nell’epoca dei social, verità molto semplici e sotto gli occhi di chiunque diventano “una delle tante verità” grazie al connubio disinformazione/ridondanza informativa tipica dell’era digitale.
Basta scorrere qualche social e salta agli occhi il tipico schieramento da curva di stadio, dove ognuno per l’occasione crea il suo personaggio schierato con l’una o l’altra delle parti in causa. Certo, in questo caso specifico come in tanti altri, la razionalità lascia il posto all’istinto e all’emozione trasformando le persone in personaggi costruiti con idee artefatte nascosti dietro la maschera del social. Questo vale soprattutto per i politicanti (nostrani e non) abilissimi a cambiare bandiera (o maglietta) a seconda delle circostanze. “Noi siamo quel che facciamo finta di essere, sicché dobbiamo stare molto attenti a quel che facciamo finta di essere” diceva lo scrittore anarchico Kurt Vonnegut.
Di certo è impossibile conoscere la verità nella guerra post-moderna e qui, non me ne vogliate, non entrerò nell’analisi delle cause o controcause della guerra: mi limiterò a elencare alcune delle più evidenti menzogne propagandistiche che hanno caratterizzato questo, come altri conflitti bellici recenti, dove la guerra è, di là di ogni altra considerazione, una presenza costante nella vita quotidiana di miliardi di persone sul pianeta.
Tutti ricorderanno le famose armi di distruzione di massa in possesso di Saddam Hussein o dei legami fra al Queda e l’Iraq per giustificare l’intervento militare in quell’area. Addirittura il premier inglese di allora, Tony Blair, dovette fare pubblica ammenda ammettendo le falsità, nonostante questa fosse una sorta di confessione ad orologeria.[1]
Ogni guerra, in qualsiasi parte del mondo, è un colpo inferto agli oppressi di tutto il mondo: è come un virus contagioso, in termini di distruzione ambientale, esseri umani morti sotto le bombe, sradicati dalle proprie case e dai propri affetti, costretti a vivere nel limbo dei rifugiati, degli sfollati… Forse ci stiamo accorgendo che è inutile crogiolarsi nel proprio orticello se intorno a noi c’è il deserto: primo o poi il deserto avanzerà verso di noi. Sono oltre 70 gli stati nel mondo nel quale è in corso un conflitto bellico con tanto di eserciti schierati: circa 900 conflitti, contando quelli intrastatali, tra fazioni in lotta, guerre per i cartelli della droga, guerre di religione ecc. La sola guerra in Yemen, ad esempio, ha causato in sette anni oltre 300.000 morti. [2]
Ora però la guerra è arrivata nel cortile di casa delle fortezza Europa e questo preoccupa i governanti, costretti a ridefinire tutta una serie di attività finanziarie e commerciali. Nei discorsi dei leader , la parola “pace” diviene sinonimo di “pacificazione”. Aumentano le spese militari per finanziare le missioni all’estero “per garantire la pace” – ci sarebbe da ridere per non piangere. Non importa che a rimetterci siano i più deboli e gli sfruttati che, quando non sono costretti a fuggire, sono costretti , con le buone o con le cattive ad indossare l’emetto ed arruolarsi nell’esercito Statale.
Dicevamo però della propaganda. Il dittatore Putin afferma che non si tratta di guerra ma di una operazione speciale per liberare l’Ucraina dagli abusi nazisti, perché “i fratelli del Donbass hanno chiesto il nostro aiuto” (…) “Non è nostra intenzione occupare il territorio ucraino. Non intendiamo imporre niente a nessuno con la forza. (…) Gli eventi attuali non hanno nulla a che vedere con un desiderio di ledere gli interessi dell’Ucraina e del suo popolo” queste le dichiarazioni di Putin. C’è sicuramente un fondo di verità nella presenza nazista in Ucraina ma una liberazione a suon di bombe ricorda un po’ l’esportazione di democrazia statunitense…
Dall’altro lato un girotondo di informazioni prima date poi smentite: il teatro di Mariupol bombardato con mille morti, che poi diventano 1600 con fosse comuni improvvisate, poi la smentita persino da parte di giornalisti insospettabili, [3] adesso il tentativo di dire che i morti ci sono stati, sì, ma meno degli oltre mille sparati all’inizio…
La propaganda non ha sosta. Quella di Putin, col suo bagno di folla nello stadio gremito è la classica mossa utile a dimostrare al mondo che lui ha il popolo dalla sua parte, mentre la censura e la repressione verso la stampa, i social e le manifestazioni di protesta non si fermano. Dall’altro lato il leader ucraino , che viene descritto dall’UE e dalla NATO come un eroe resistente, che invoca la no-fly zone (ovvero la guerra dispiegata), l’intervento della NATO (poi sembra alquanto ritrosa) e l’invio di armi col plauso dei vari parlamenti, che però oltre alle lacrime di qualche premier commosso e qualche applauso più forte di qualche piazza piddina, non sembra al momento raccogliere molto.
Chiunque abbia a cuore la pace senza se e senza ma, chiunque manifesti un sincero spirito antimilitarista viene additato come un negazionista , un no-war trattato peggio dei no-vax: il paragone potrebbe sembrare irriverente, riflettiamo però sul linguaggio di guerra adottato durante la pandemia e qui la guerra è vera. Ne hanno fatto le spese non solo i manifestanti russi o i disertori ucraini ma, senza stare a fare un lungo elenco, tutti coloro che in occidente hanno speso una parola anche genericamente antimilitarista.
Come Scrive Giuliano Marcon sulla rivista diretta da Goffredo Fofi Gli Asini: “C’è chi, quando arriva la guerra (vera), si diletta nella sua attività preferita, la guerra di carta. Ad arruolarsi sono (alcuni) intellettuali, giornalisti, opinionisti che usando giornali e trasmissioni TV si prodigano nell’assalto del dileggio sdegnato e dello scherno moralistico: dei pacifisti. Spesso non possono fare altro che scrivere e parlare perché la guerra la fanno per procura (armiamoci e partite), mentre la popolazione civile viene sterminata dalla logica infernale delle armi e della sopraffazione militare.”[4]
In Russia è quasi impossibile avere informazioni sull’andamento del conflitto fuori dei media ufficiali, tant’è vero che la sete di notizie, specie fra i giovani, ha dato vita d un fenomeno particolare e per certi versi incoraggiante: per aggirare la censura imposta su oltre 200 siti di informazione è aumentata la richiesta di accesso tramite Vpn per aggirare i blocchi nonché l’uso di browser tipo Tor o altri. Dal 10 marzo ricerche e download per le Vpn sono aumentati del 753% rispetto al periodo precedente all’invasione.[5].
La propaganda di guerra, senza rischiare di essere banali, è un’arma potente, specialmente nell’epoca delle immagini e dello spettacolo. In occidente diventa un evento spettacolare, una specie di grande fratello grottesco, dove emerge il giornalista con l’elmetto che fa a gara per trasmettere le sue insulse trasmissioni nei luoghi di guerra dimostrando di rischiare la vita (sic) pur di “informare”. Tralasciamo gli episodi più eclatanti, dove le immagini di guerra vengono sostituite con schermate di videogiochi o con immagini di repertorio. Siamo piuttosto in un loop mediatico/ spettacolarizzato, dove ad esempio la sorte dei ragazzi antimilitaristi arrestati in Russia non ha importanza, basta che qualche indegno cantantucolo nostrano intoni la canzone “Zombie” e siamo tutti commossi.
Si mobilitano schiere di intellettuali da trincea come l’evoliano Dugin o il prete ortodosso amico delle uniformi o tutta la schiera di soubrette e calciatori ucraini “col culo parato”, diventati opinionisti geopolitici spuntati come funghi a invocare fra le lacrime l’aiuto dell’Europa o dell’occidente, come fossero entità salvifiche. Assistiamo ad una indegna derussificazione maccartista della cultura invocandola come “atto simbolico” (emblematico l’annullamento, poi revocato del corso su Dostoevskij che il professor Nori doveva tenere all’università Bicocca di Milano). Addirittura si scade nel ridicolo quando l’aula studio dell’università della Florida numero 229 non si chiamerà più aula Karl Marx, poiché “Dati gli eventi è appropriato cambiare nome”, accostando in modo esilarante il filosofo comunista tedesco al governo del liberista russo Putin.[6] Per non parlare dei gatti russi eliminati dai concorsi di bellezza felina…[7]
Lentamente si comincia a sapere cosa fanno i compagni anarchici, comunisti o pacifisti in Russia e in Ucraina, quali sono le loro posizioni e le loro azioni. La logica della guerra si dipana nella sua propaganda: ti devi schierare; avere posizioni pacifiste, antimilitariste, vuol dire essere un nemico dell’una e dell’altra parte o, meglio, rischi di essere definito filorusso, insomma di essere dalla parte dell’aggressore.
L’unica speranza è che la marea montante dell’antimilitarismo, già presente in molte piazze del mondo, con la partecipazione di milioni di giovani, (la manifestazione del 25 marzo di Friday for Future è stata caratterizzata da accalorati appelli alla pace) ci faccia intravedere una speranza futura e ci riconduca dalla giusta parte della barricata: quella degli oppressi e degli sfruttati di tutto il mondo, in tutti gli scenari di guerra e in tutte le metropoli imperialiste.
NOTE
[2] https://www.greenme.it/lifestyle/costume-e-societa/quasi-900-conflitti-nel-mondo/
[3] https://twitter.com/lucatelese/status/1505100701084569604
[5] https://www.wired.it/article/russia-guerra-ucraina-propaganda-fake-news-social/